SPECIALE Testimoni
S


Itinerario formativo
dei consacrati


La psicologia può aiutare a riconoscere le caratteristiche di maturazione
della psiche umana anche nel contesto della VC.

S
L

a psicologia è una scienza positiva, di carattere empirico, fondata sullo studio delle costanti e delle variabili psicologiche osservabili, quantificabili secondo le categorie e i modelli teorici propri delle scienze empiriche. Il suo carattere empirico fa sì che la metodologia che segue sia quella di studiare il vissuto psichico delle singole condotte, di metterne in luce i significati e le intenzioni latenti o consapevoli, di esaminare come questi significati e queste intenzioni si organizzano e formano la struttura della scelta personale. Se poi si tratta di studiare ciò che riguarda il vissuto di fede e i comportamenti religiosi, la psicologia – come le altre scienze di analisi della condotta umana – può diventare un valido aiuto perché facilita la conoscenza delle diverse dimensioni della persona che concorrono, non solo a star bene con se stessi, ma a collaborare con il progetto e Dio. Una tale psicologia non si fonda su una visione delle vicende umane come passiva sottomissione ad istinti o

pulsioni, ma su una attiva partecipazione e ricostruzione della propria storia evolutiva attraverso le diverse dimensioni del proprio essere persona. In particolare, attraverso «il significato intenzionale che la persona attribuisce a ciò che fa; l’orizzonte di totalità e di integrità esistenziali in cui essa colloca ciò che fa; il rapporto tra il vissuto religioso e gli stadi del processo evolutivo in prospettiva sia cronologica che logica; le coordinate culturali del contesto storico in cui la persona vive».1 Questa psicologia – benché non abbia competenze nei confronti dei contenuti di fede2 – può aiutare a riconoscere le caratteristiche di maturazione, di dinamicità e di intenzionalità della psiche umana anche in un contesto specifico come quello della vita consacrata, perché anche qui le persone possono imparare a partecipare, attraverso la propria storia evolutiva e il carattere vocazionale della natura umana3, alla realizzazione del Regno.

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Livelli di religiosità e salute mentale

Lo studio della religiosità dal punto di vista psicologico ha preso in esame aspetti differenti del modo di vivere la dimensione spirituale. Ci sono stati autori che ne hanno sottolineato la componente affettiva ed emotiva, in particolare il sentimento di serietà e di amore verso la realtà divina.4 Altri hanno enfatizzato il carattere irrazionale dell’esperienza religiosa, dinanzi alla quale la persona prova paura e attrazione.5 Particolarmente importanti, però, per i risvolti esistenziali e vocazionali che possono interessare la vita consacrata, sono le componenti motivazionali della religiosità, che aiutano la persona a unificare i diversi aspetti della propria esistenza e a trovare soluzione coerente al proprio bisogno di senso nel modo di vivere la fede. Da questa prospettiva la religiosità può essere definita come «una disposizione, costituitasi attraverso l’esperienza, a rispondere favorevolmente ed in determinati modi abituali agli oggetti e principi concettuali che l’individuo considera come d’importanza suprema nella sua vita personale e come correlati con ciò ch’egli reputa permanente o centrale nella natura delle cose».6 Rilevare le componenti distintive di questa religiosità nel contesto della vita consacrata vuol dire imparare a riscoprire le motivazioni che sono alla base delle loro scelte motivazionali, perché la componente spirituale non sia un optional nello stile di vita dei religiosi e delle religiose, ma diventi l’aspetto fondante le loro scelte operative e la loro partecipazione all’unico mistero di Cristo.7

CARLO ROCCHETTA
«Guarì tutti i malati»
Gesù medico delle anime e dei corpi

Accanto alle pratiche di psicoterapia e all’uso di psicofarmaci per curare i malesseri della società moderna, c’è chi elabora forme di «cristoterapia » che utilizzano la fede come via di guarigione. Il volume indaga la figura del Christus medicus, riscoprendo la forza della sua grazia sanante da non confondere con un miracolismo fine a se stesso. (pp. 200 - € 16,80)

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Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it

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Ri-umanizzare le diverse polarità

La religiosità che motiva l’individuo a vivere comportamenti che siano coerenti con il suo credo porta a chiedersi in che modo vivere la fede, cioè come tradurre il proprio essere spirituale in comportamenti concreti. Questo aspetto operativo permette di constatare come la fede è operazionalizzata attraverso le diverse dimensioni della vita umana, con la riscoperta dei punti di forza che aiutano ad affrontare le situazioni di debolezza e di fragilità che la persona vive nel quotidiano. Se non c’è questa attenzione ad una fede “reale”, possono emergere i diversi fondamentalismi comportamentali, religiosi, educativi, che distorcono non solo l’identità individuale, ma anche le stesse motivazioni del credo religioso. Infatti, quando si tende a enfatizzare una dimensione a discapito di altre, o quando le diverse componenti sono vissute in modo unilaterale ed esclusivo, la religiosità che ne deriva potrebbe risultarne altamente disfunzionale se non patologica. Per cui è urgente integrare i vissuti della religiosità con la realtà della propria crescita umana, per vivere l’esperienza di fede come dimensione essenziale del proprio benessere psicologico e del proprio orientamento vocazionale. «La qualità della vita non cresce né perché intellettualisticamente ci riempiamo di idee brillanti su Dio, né per sforzi moralistici, tanto meno attraverso sentimentalismi consolatori e comprensivi. La qualità della vita cresce nella misura in cui cresce in noi quell’esperienza della fede che ci fa scoprire come l’incontro con Cristo cambia davvero la vita, rendendola pienamente significativa».8


La religiosità apparente, stile “usa e getta”

Nello stile religioso delle persone possiamo distinguere vari livelli di religiosità a seconda di come esse vivono e percepiscono il loro vissuto in rapporto ai comportamenti e al credo interiorizzato. Tale suddivisione può aiutare a capire quali sono gli aspetti psicologici che sono oggetto di osservazione psicologica.9 Parliamo di religiosità “estrinseca” per indicare un modo di vivere e sentire la fede come dotato di significato strumentale e funzionale, cioè quando l’esperienza del sacro è tradotta in comportamenti “apparenti” e pratici.

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È la religiosità di quanti enfatizzano una fede di tipo strumentale, come un mezzo per soddisfare i propri bisogni individuali ed interpersonali. Essi usano la religione per le proprie finalità, e la trovano utile per diversi motivi: perché fornisce un senso di sicurezza, assicura il sostegno sociale, permette uno status preferenziale o offre giustificazione a determinati interrogativi relativi alla vita, alla morte, alle malattie, può diventare una sublimazione del sesso o un appagamento di desideri.10 Questo vissuto religioso serve per degli obiettivi autoreferenziali, utili alla persona, raggiungibili attraverso una visione rigida e dogmatica del proprio credo religioso, senza che essa si assuma la responsabilità di vivere una fede che modella la propria vita. Si tratta di una religiosità “usa e getta” perché si ferma ad una pratica esteriore e superficiale, che non cambia la vita e non genera comunione con gli altri, ma al contrario resta solo alla superficie, come se fosse una funzione da espletare, apatica e indifferenziata. Se il vissuto spirituale di un consacrato si ferma a questo livello, rischia di ridurre la fede a un sistema di pratiche standardizzate, con delle norme a cui ubbidire o da seguire che giustificano uno stile di vita mediocre e poco coerente, incapace di incidere sugli obiettivi della propria esistenza. Molte ricerche confermano una correlazione negativa tra questo tipo di religiosità e la salute mentale. Come a dire che quanti vivono la fede in modo rigido e stereotipato tendono ad avere un modo di vedere se stessi e il mondo in modo altrettanto rigido e stereotipato, perché centrati sul proprio mondo e sulle esigenze del proprio io. Anche i religiosi e le religiose possono vivere queste intransigenze, che spesso alimentano pregiudizi e fanatismo nel loro credo e nel modo di sentire la fede.

Una religiosità
maturante e propulsiva
aiuta ad integrare
le fatiche e le difficoltà.



Quando perdono di vista la centralità di una spiritualità che motiva le loro scelte di consacrazione, possono correre il rischio di ridurre la loro fede ad uno sterile ritualismo, inaridendosi in uno stile di vita fatto di cose da fare senza una chiara visione dei motivi sottostanti.

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La conseguenza è che si diventa “consumatori” di religiosità senza riuscire ad attingere alle sorgenti della fede, e ci si illude che una religiosità esteriore possa supplire ad un rapporto personale e vivificante con Dio. È uno stile che enfatizza l’uso delle cose religiose per i propri bisogni di sicurezza, di autoaffermazione, autostima. Un modo di vivere la religiosità così fatto tende a far dire a Dio ciò che la persona vuole o desidera. Certo, può aiutare a difendersi dalla realtà assumendo Dio come proprio alleato, assicurandosi che Egli vede le cose così come le vedo io e giudica così come giudico io. Ma allo stesso tempo può diventare motivo di malessere quando questo stile collude con le fragilità psichiche del soggetto, enfatizzando le sue difficoltà a stare in contatto con la realtà o la sua incapacità di adattamento nell’ambiente.11 Tale spiritualità si ripercuote sulla salute emozionale della persona, soprattutto quando si accorge che “fare” delle cose religiose – anche quelle che riguardano il servizio di dedizione agli altri secondo il carisma del proprio istituto – non è sufficiente per vivere la propria risposta vocazionale. Inoltre, quando l’individuo perde la centralità della comunione con il Cristo e con i fratelli, emergono tanti vissuti “strani” che si mescolano con il comportamento religioso, e che possono tradursi in comportamenti negativi e disfunzionali. Con una religiosità di facciata il soggetto potrà anche essere devoto e scrupoloso per le diverse pratiche religiose, ma non per questo altrettanto coerente nella vita e nei comportamenti.


La religiosità intrinseca

L’altro livello di religiosità si richiama ad un orientamento interiore e viene definita come “intrinseca”. Corrisponde ad una religiosità che «considera la fede come avente valore in sé, trascende gli interessi individuali e implica impegno e sacrificio. Si tratta, quindi, di una religiosità maturante e propulsiva, dalla quale il soggetto riceve una carica verso un costante superamento di sé».12 Essa aiuta ad integrare le fatiche e le difficoltà, senza perdere di vista i valori e le motivazioni che provengono dalla scelta vocazionale. Questa religiosità comprende diverse componenti correlate tra loro, che caratterizzano il modo con cui l’individuo vive la sua fede nel quotidiano.

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I comportamenti che ne derivano saranno coerenti con questo tipo di religiosità quando l’individuo si sente all’altezza del proprio ideale religioso e vocazionale non tanto per le cose che realizza, ma perché condivide la pienezza del dono ricevuto. La fede diventa allora esperienza vissuta, resa visibile attraverso scelte e comportamenti concreti che generano unitarietà dentro di sé, ma anche nel rapporto con gli altri. La persona impegnata con questo carattere di fede è capace di affrontare i dilemmi, le situazioni difficili, i sensi di colpa, il mistero della vita e della morte, perché si sente motivata a coinvolgersi. «È una tensione e un impegno ad un’unificazione ideale della propria vita, ma sempre all’insegna di una concezione unificante della natura di tutta l’esistenza».13

GRACE SHEPPARD
«Forte come la morte è l’amore»
Vivere in pienezza nella sofferenza
PREFAZIONE DELL’ARCIVESCOVO DESMOND TUTU

Arcivescovo anglicano di Liverpool per ventidue anni, David Sheppard (1929-2005) è stato figura di primo piano della Chiesa d’Inghilterra nonché, in gioventù, un apprezzato giocatore di cricket. Con uno stile commovente e sereno al tempo stesso, la moglie Grace ripercorre in un diario gli anni della malattia del marito. (pp. 224 - € 18,00)

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Molte ricerche hanno confermato che questa religiosità intrinseca è positivamente correlata con la salute mentale e con la ricerca di un equilibrio interiore che aiuta a sentirsi adeguati nelle proprie scelte di vita. Infatti, questo tipo di religiosità si coniuga con il benessere psichico e con un senso di autostima e di sicurezza personale che facilitano la considerazione positiva di sé. In altri termini, quanti hanno delle convinzioni religiose che sono ben radicate dentro di sé tendono a vivere bene anche altri aspetti della loro esistenza.14

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Avere delle convinzioni religiose radicate nella propria storia di fede è alla base della crescita e della stabilità della propria identità. Inoltre, la religiosità intrinseca consolida il benessere personale in vista dello sviluppo vocazionale della vita, perché permette alla persona di guardare avanti, di darsi prospettiva. Sappiamo quanto questo sia importante nella vita consacrata, perché la stessa professione dei consigli evangelici orienta la persona a vivere il presente in vista dei valori del Regno e della piena realizzazione in Cristo Gesù. Ciò che rende salutare tale vissuto religioso «è la capacità di dare un senso e un significato alla propria vita »,15 in particolare un significato vocazionale che orienta verso scelte che aiutano ad integrare i diversi aspetti di sé in un progetto di vita trascendente.


Sperimentare la fede attraverso il proprio modo di essere

Oltre alla prospettiva di una religiosità indicata come intrinseca o estrinseca, c’è anche un aspetto dei vissuti religiosi che riguarda la “ricerca” di assoluto, il cui obiettivo è dare risposte a temi esistenziali che la persona vive e affronta lungo lo sviluppo evolutivo della propria storia. Questa dimensione si riferisce ad alcuni aspetti della vita umana quali l’adeguatezza nell’affrontare certe situazioni che scuotono le sicurezze del passato, senza disperdere la propria identità e la centralità del proprio essere, la capacità di sapersi mettere in discussione e la percezione del dubbio religioso come un aspetto positivo e aperto al cambiamento. Quindi, se da una parte è vero che la fede è un’esperienza rigenerativa, in quanto stimola l’individuo ad aprirsi alla trascendenza, dall’altra vivere la religiosità vuole dire sperimentarla con l’unica personalità che possiede, quindi con le proprie potenzialità, ma anche con le proprie debolezze. «Ne consegue che la fede si veda osteggiata e stimolata a un tempo, che sia sperimentata come vicinanza o come lontananza, come certezza e come dubbio, come luce e come tenebra. La fede, in definitiva, è un atto personale dinamico e partecipa del dinamismo dell’intelligenza e dell’affettività».16 Ne consegue che la fede può sottostare a distorsioni e dubbi che derivano sia da aspetti caratterizzanti il modo di esprimerla e sia da problematiche relative alla persona.

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In particolare, essa soffre se è dissociata nei suoi aspetti conoscitivi, volitivi ed affettivi.17 Nella vita consacrata non mancano gli esempi in cui la fede rischia di atrofizzarsi in mero intellettualismo, o semplice sforzo di volontà, oppure ancora in un improvviso quanto effimero slancio emotivo. Nel primo caso si riduce all’aspetto intellettuale, soprattutto quando le persone si coinvolgono poco nei vissuti della loro fede, e più che viverla tendono a subirla a seconda delle etichette o delle riflessioni teologiche che ne atrofizzano la vivacità. Nel secondo caso, la fede sembra essere sostituita da un atto di volontà che porta l’individuo a sottostare in modo quasi irrazionale ad una obbedienza che nega ogni offerta responsabile e rischia di restare unicamente un abbandono arbitrario. Nel caso di una fede emotiva la persona si rifugia in un trasporto istintivo che porta a scambiare il sentimento come sorgente del proprio credo. Una fede siffatta rischia di escludere il coinvolgimento responsabile e rimane relegata alle esperienze emotive che possono variare a seconda delle circostanze. Molte espressioni di fede nell’ambito della vita consacrata possono appartenere a queste condizioni: è la fede vista soprattutto come dogmatismo e norme, oppure semplicemente come volontarismo o come illusione emotiva del momento. Quando queste tendenze sono estremizzate, possono sfociare in un malessere psichico che confonde e disorienta.


La fede non è “una bottiglia di acqua distillata”

«Chi di noi tutti non ha sperimentato insicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede? Tutti abbiamo sperimentato questo, anch’io: fa parte del cammino della fede, fa parte della nostra vita. Tutto ciò non deve stupirci, perché siamo esseri umani, segnati da fragilità e limiti; tutti siamo fragili, tutti abbiamo limiti».18 Questa fede apparentemente contraddittoria, radicata nella precarietà dell’esistenza, si basa sul fatto che la persona è dotata della capacità di “attribuire significati” alle cose, ponendosi delle domande sul perché della vita, della morte, della sofferenza... È trovando in Dio la risposta a questi interrogativi che l’individuo può aprirsi ed arricchirsi delle tante novità che il rapporto con gli altri

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le offre. «Essere aperti ad un’esperienza di fede, essere “credenti”, ha permesso agli umani di arricchire a dismisura le loro categorie mentali, il loro arsenale di significati, il loro linguaggio, consentendo ad essi di accedere a forme sempre più sofisticate ed evolute di consapevolezza, di interazione sociale, di condivisione, e di adattamento creativo ai limiti imposti dalla propria condizione ».19

Sono questi interrogativi esistenziali che fondano la capacità della persona di sapersi coinvolgere in una fede che non è né passiva né passivizzante, ma al contrario rappresenta una sfida a cercare e trovare la verità delle cose di Dio, con quella flessibilità adattiva che facilita il contatto con il creato e apre ad una nuova solidarietà. Per questo potremmo dire – parafrasando papa Francesco – che la fede non può restare chiusa in se stessa, “non è una bottiglia di acqua distillata”.20 Bisogna viverla con energia. Pur consapevoli che c’è il rischio di sbagliare, di commettere errori. Solo se si rischia si può evitare il peggio di una fede arrugginita e deteriorata dalle paure o dai perbenismi. La fede custodita dai falsi moralismi porta al dubbio patologico, quello di chi vuole sentirsi dire che la verità non esiste. Il dubbio esistenziale invece è di chi si pone delle domande che lo motivano a cercare continuamente la verità, anche attraverso la complessità dell’esistenza.21
Si tratta di un livello di spiritualità che esplora la complessità del desiderio insito nella creatura, di trascendere la stessa vita, di aprirsi all’infinito, anche se si tratta di una domanda di religiosità che non sempre implica un credo esplicito nella realtà trascendente. Questo aspetto della fede, radicato nella fragilità della persona, è fortemente orientativo e vocazionale, perché caratterizza il procedere evolutivo dell’essere persona, aperta ad accogliere e a riconoscere nella realtà esterna così come nella propria storia individuale la presenza di Dio. Infatti, «una religiosità matura non è fissata su strutture finitamente compiute. Essa rimane sempre un “compito aperto” per l’individuo. Originata e sviluppata essenzialmente sul rapporto dialettico tra elementi complementari dell’esperienza umana, la religiosità matura […] si sente necessariamente tesa verso verità più grandi ed esaustive; essa accetta apertamente il rischio della ricerca».22 È proprio questa parte eminentemente umana che avvicina alla dimensione autentica del proprio essere spirituale.

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Ecco perché nella vita consacrata questa dimensione di una fede “dubbiosa” è importante, perché nella loro crescita e maturazione psicologica i religiosi e le religiose possono imparare a cogliere le risorse presenti nelle crisi di fede e nei dubbi spirituali che emergono dalle situazioni che vivono. Il dubbio così inteso, «presente come elemento di struttura della fede»,23 diventa parte della preoccupazione esistenziale dell’essere umano, continuamente alla ricerca di Qualcuno che lo chiama ad uscire fuori di sé per volgersi verso il progetto vocazionale della sua vita.

Qualità della vita e crescita
relazionale nella fede

L’essere umano nasce con una inclinazione a relazionarsi con chi si prende cura di lui: le modalità con cui egli si è sentito accolto hanno contribuito (e contribuiscono) a limitare o a favorire la sua capacità di esplorare il mondo circostante e di creare cose nuove guardando al futuro. 24 L’equilibrio tra l’espansione delle competenze esplorative e la capacità di crearsi delle protezioni nelle relazioni durature della vita, influenzano in modo radicale le possibilità di benessere psicologico, di salute fisica e di chiarezza intenzionale della persona. Questo cammino di costruzione della propria identità è forgiato lungo tutto lo sviluppo evolutivo, a partire dal rapporto con i genitori per poi estendersi a tutte quelle relazioni che hanno aiutato la propria formazione umano- spirituale. Infatti, i vissuti relazionali della persona modellano non solo la sua struttura di personalità, ma anche il suo modo di vivere la fede. È nella relazione che essa riscopre il suo essere a immagine di Dio. Questa reciprocità diventa quindi un continuo lavoro di identificazione e di differenziazione che viene realizzato nell’incontro con il Tu del confratello o della consorella. «Solo “l’incontro con il ‘tu’ e con il ‘noi’ apre l’‘io’ a se stesso”».25
Man mano che l’individuo cresce, possono emergere diversi tipi di attaccamento a seconda di come ha maturato i suoi rapporti e di come ha imparato a modellare se stesso e le sue relazioni tra sé e gli altri. Lo stile di personalità che ne emerge dipende in gran parte da come è riuscito a cogliere la ricchezza dei rapporti umani lungo il corso della sua esistenza.26

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ISTITUTO SUPERIORE PER FORMATORI

TREDIMENSIONI
rivista di psicologia, spiritualità
e formazione

2004 – 2014
10 ANNI DI RIFLESSIONI
IN FAVORE
DI UN’EDUCAZIONE INTEGRALE
DELLA PERSONA

Che cosa si è fatto
e che cosa si farà

PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA
ROMA – Piazza della Pilotta, 4
Sala C008 Palazzo Centrale

SABATO 5 APRILE 2014
ore 10.00 – 16.30

PROGRAMMA

09.30 Accoglienza
10.00 Saluto da parte delle Autorità accademiche della PUG
10.15 Introduzione - ALESSANDRO MANENTI
10.30 Nulla è più pratico di una buona teoria FRANCO IMODA S.J. intervistato da Luca Balugani
11.45 Dibattito

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12.15 Nuove tendenze nell’accompagnamento psico-spirituale S.E. MONS. CARLO BRESCIANI
13.00 Pausa pranzo
14.00 L’approccio evolutivo fra nuove e vecchie patologie STEFANO GUARINELLI
14.30 Nuovi fronti problematici: dai conflitti personali ai problemi istituzionali e di ruolo ENRICO PAROLARI
15.00 Dibattito
15.30 La questione femminile: oltre la maternità e l’accoglienza CLAUDIA CIOTTI
16.00 Teoria e teorie: alla ricerca di terreni condivisi ANDREA PERUFFO
Moderatrice: Donatella Forlani

LA PARTECIPAZIONE È LIBERA E GRATUITA
Per questioni organizzative
è gradita la pre-iscrizione alla pagina www.isfo.it

Inoltre, i suoi stili di attaccamento concorrono a creare dei profili che descrivono il suo mondo interiore e le sue relazioni con gli altri in termini affettivamente positivi o negativi sulla base delle esperienze relazionali che hanno contribuito alla sua formazione.
Tale centralità dei rapporti interpersonali è particolarmente importante anche per la vita consacrata, poiché è dai rapporti con gli altri che si delinea il senso orientativo del loro coinvolgimento nella missione della Chiesa intera, chiamata ad annunciare la Verità che ha ricevuto attraverso una spiritualità di comunione assunta come principio educativo che plasma ogni realtà dell’essere umano.27

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«Questa apertura al “noi” ecclesiale avviene secondo l’apertura propria dell’amore di Dio, che non è solo rapporto tra Padre e Figlio, tra “io” e “tu”, ma nello Spirito è anche un “noi”, una comunione di persone. Ecco perché chi crede non è mai solo, e perché la fede tende a


GIOVANNI FERRARIO - CECILIA PIRRONE -
FRANCESCO SCANZIANI

Insieme è un’altra storia
Per-corso per coppie in cammino verso il sacramento del matrimonio

S econda tappa del progetto del percorso nuziale previsto in 3 volumi, utilizzabili anche singolarmente o per moduli. Con uno stile non classicamente catechistico, il sussidio non sostituisce il corso per fidanzati, ma accompagna le coppie che desiderano un cammino più approfondito e personalizzato verso il matrimonio cristiano. (GUIDA PER GLI OPERATORI pp. 88 a due colori - € 8,00) (QUADERNO PER LE COPPIE pp. 48 a due colori - € 4,20)

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diffondersi, ad invitare altri alla sua gioia. Chi riceve la fede scopre che gli spazi del suo “io” si allargano, e si generano in lui nuove relazioni che arricchiscono la vita».28 Inoltre, è nelle relazioni che i consacrati imparano a coltivare se stessi, passando dalla consapevolezza di sé (dei propri pregi e dei propri difetti) ad una migliore apertura all’altro, ricoprendo un’armonia e una comunione che conserva in sé le preziose potenzialità delle diverse differenze in dialogo.29 «Nella fraternità ciascuno impara a vivere con colui che Dio gli ha posto accanto, accettandone le caratteristiche positive e insieme le diversità e i limiti. In particolare, egli impara a condividere i doni ricevuti per l’edificazione di tutti».30

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Concetto di Dio e componente affettiva dei rapporti interpersonali

Per percepire la presenza di Dio e per rapportarci con Lui noi non attiviamo una connessione cerebrale “divina” speciale ma usiamo gli stessi mezzi che utilizziamo per relazionarci con gli altri, quali sono appunto le competenze interpersonali e affettive maturate nel processo di crescita lungo il ciclo evolutivo. Il rapporto con Dio infatti si sviluppa attraverso le strutture psichiche e fisiche che la persona ha a disposizione, le stesse che influenzano la sua capacità di percepire i rapporti con quanti hanno contribuito e contribuiscono alla sua crescita psico-affettiva. Anche nella vita consacrata c’è questo collegamento tra l’esperienza di fede e le competenze relazionali acquisite lungo la propria storia evolutiva. Infatti, il modo con cui le persone maturano e interiorizzano la dimensione spirituale è influenzato dal loro stile relazionale e dal modo con cui i religiosi armonizzano i propri comportamenti relazionali.31
Inoltre, poiché i loro rapporti interpersonali sono permeati di affettività e di emozioni, anche il rapporto di fede è qualificato dal significato emozionale che assegnano alle loro relazioni. «In buona parte, alla base dell’idea che le persone si creano di Dio e dell’esperienza emozionale che vivono di Dio, c’è la natura delle relazioni interpersonali vissute».32
Se vivono un’affettività positiva sulla base di uno stile relazionale costruttivo anche la loro religiosità ne sarà influenzata. Mentre invece, se vivono un’affettività negativa, si creano distanziamenti e fughe anche in rapporto alla loro religiosità, per esempio si instaurano sottomissioni acritiche e ribellioni illogiche verso il loro modo di concepire e percepire la figura di Dio che può essere percepito come uno che punisce e da temere. Tali effetti negativi si generalizzano al modo in cui viene concepita la fede. Quindi, l’evoluzione degli stili relazionali appresi e delle modalità di autopercepirsi nel rapporto con gli altri influenza l’esperienza di attaccamento verso Dio e nel modo di vivere la fede. Vivendo poi in comunità o svolgendo attività pastorali che comportano relazioni, le persone imparano ad integrare i valori della loro esperienza relazionale, regolandola secondo i principi del Vangelo. Così, dal modo con cui si legano tra loro apprendono a concepire il loro rap-

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porto reciproco secondo quell’ideale che appartiene alla loro vocazione e al loro carisma specifico, contribuendo a creare nuove strategie con cui si aprono alle enormi potenzialità presenti nei rapporti reciproci.


Benessere psicologico e trascendenza

L’interesse della psicologia verso la religiosità e il benessere psicologico collega l’esperienza di fede con aspetti cognitivi ed emotivi dell’individuo nella sua concretezza di vita. In particolare mette in rilievo come la storia relazionale passata può influenzare quella presente, ma non ne determina aprioristicamente l’esito, poiché la persona può sempre dare una risposta diversa, soprattutto quando si apre alle realtà di Dio. L’apprendimento di modalità relazionali adeguate può essere messo in relazione con la qualità dell’esperienza di fede dell’individuo, attraverso modelli relazionali acquisiti che vengono proiettati nel modo con cui la persona si relaziona con Dio. La consapevolezza di questi modelli interiorizzati può favorire uno sbocciare di nuove credenze religiose, che siano coerenti con il proprio vissuto vocazionale. Tutto ciò ci porta a concludere che benessere psicologico e trascendenza rappresentano senza dubbio un binomio inscindibile, che accompagna il cammino di fede di quanti hanno accolto la chiamata di Dio e la vogliono vivere attraverso la loro personalità e il loro stile relazionale, con cui possono sentire, pensare, e realizzare concretamente gli insegnamenti del Vangelo.

Giuseppe Crea, mccj
Psicologo, psicoterapeuta

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1. E. Fizzotti, voce “Psicologia della religione”, in Dizionario di Scienze dell’Educazione, a cura di J.M. Prellezo – G. Malizia – C. Nanni, LDC, Leumann (Torino) 2008, p. 940.
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2. P. Scilligo, Le emozioni e l’esperienza di fede, in «Psicologia Psicoterapia e Salute», 9 (2003)2, pp. 125-141.
3. G. Crea, Psicologia, spiritualità e benessere vocazionale, EMP, Padova, 2014.
4. W. James, Le varie forme del’esperienza religiosa, Morcelliana, Brescia 1998.
5. R. Otto, Il sacro, Feltrinelli, Milano 1966.
6. G.W. Allport, L’individuo e la sua religione, Elle Di Ci, Leumann-Torino 1972, pp. 116-117.
7. Vita consecrata, n. 93.
8. P. Martinelli, La qualità dell’esistenza del credente. Note sulla relazione tra l’atto della fede e il suo contenuto, in «Religiosi in Italia», Marzo- Aprile 2013, p. 60.
9. G.W. Allport – M.J Ross, Personal religious orientation and prejudice, in «Journal of Personality and Social Psychology», 5(4/1967), pp. pp. 432-443.
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10. G.W. Allport – M.J. Ross, Personal religious orientation and prejudice, in «Journal of Personality and Social Psychology», 5 (1967)4, p. 411.
11. L.J. Francis, Personality and religious orientation: shifting sands or firm foundations?, in «Mental Health, Religion & Culture», 13 (2010)7-8, pp. 793–803.
12. E. Fizzotti, Verso una psicologia della religione, Vol. 2, LDC, Leumann (Torino) 1995, pp. 11-12.
13. Allport, L’individuo e la sua religione, op. cit., p. 276.
14. D.E. Hall – K.G. Meador – H.G. Koenig, Measuring religiousness in health research: Review and critique, in Journal of Religious Health, 47 (2008), pp. 134–163.
15. E.P. Shafranske (Ed.) (2005), Religion and the clinical practice of psychology, American Psychological Association, Eashungton, DC, p. 303.
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16. G.F. Sanz, Fede, in T. Goffi – A. Palazzini (Ed.), Dizionario Teologico della Vita Consacrata, Editrice Áncora Milano 1994, pp. 723-737, p. 724.
17. Tillich P., Dinamica della fede. Religione e morale, Ubaldini, Roma 1967, pp. 36-43.
18. Papa Francesco, Udienza generale, Piazza San Pietro, Mercoledì, 30 ottobre 2013, in Leggi articolo, p. 2.
19. P.A. Cavaleri, La fede produce sempre una buona qualità di vita?, in «Religiosi in Italia», 395 (2013), pp. 62-68.
20. A. Spadaro, «Svegliate il mondo!», op. cit., p. 8.
21. C.D. Batson – R.-P. Lynn, Religious orientation and complexity of thought about existential concerns, in «Journal for the Scientific Study of Religion», 22 (1983)1, pp. 38-50.
 SPECIALE Testimoni _____________________________________________________

22. G. Milanesi – M. Aletti, Psicologia della religione, LDC, Leumann (Torino) 1977, p. 235.
23. P. Tillich, Dinamica della fede, cit, pp. 29-30.
24. J. Bowlby, Una base sicura, Raffaello Cortina, Milano 1989.
25. Benedetto XVI, Discorso del Santo Padre Benedetto XVI all’Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.), 27 maggio 2010, in Leggi articolo, p. 1.
26. P.M. Crittenden, Attaccamento in età adulta, Raffaello Cortina, Milano 1999.
27. Novo millennio ineunte, n. 43.
28. Lumen fidei, n. 39.
29. Evangelii gaudium, n. 228.
30. Vita consecrata, n. 67.
_____________________________________________________ SPECIALE Testimoni

31. Viale D., L’influenza dello stile di attaccamento primario, la relazione di attaccamento a Dio e l’orientamento religioso nei processi di adattamento psicologico, in “Psicologia Psicoterapia e Salute”, 15, 2009, 2-3, pp. 139-149; Scilligo P. – Schietroma S., Una concezione relazionale di Dio rilevata mediante un’analisi a due dimensioni del questionario ASR, in “Psicologia Psicoterapia e Salute”, 6, 2000, 2, pp. 169-177; Hall T.W. et al., Attachment to God and implicit spirituality: Clarifying correspondence and compensation models, in “Journal of Psychology and Theology”, 37, 2009, 2, pp. 227-244.
32. P. Scilligo, Il Dio con noi tra speranza e timore: la relazione con Dio nell’Eucaristia, in «Psicologia Psicoterapia e Salute», 7 (2001)3, p. 131.

NUNZIO GALANTINO
Abitare le parole
Alla ricerca della consapevolezza di sé PRESENTAZIONE DI ARMANDO MATTEO

S Con lo scopo di provocare una riflessione e suggerire comportamenti che definiscano l’identità e lo stile di vita del giovane, il piccolo vademecum per studenti invita ad andare oltre il ricorso superficiale a parole che, pur facendo parte del vocabolario comune, presentano un’intrinseca ricchezza. Il testo prosegue la collana di formazione per universitari. (pp. 96 - € 7,30)

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